Chiesa di San Vincenzo Ferrer

CHIESA S. VINCENZO FERRER
Loc. Montemarcone, via Monte S. Silvestro

San Vincenzo FerrerIl tempio pagano di Veiove

Nel settembre del 1977, durante lavori di aratura, ai piedi del Monte di S. Silvestro, in località Passo Porcari, poche centinaia di metri a linea d’aria dalla chiesa di S. Vincenzo, fu ritrovata una statuetta in bronzo, alta circa 33 cm, raffigurante “Veiove”, per i romani Giove giovanile, il cui culto era legato a sorgenti d’acqua, pioggia e tempesta.
La statuetta è di pregevole fattura, proveniente dall’area della Magna Grecia, ora esposta al museo archeologico di Chieti.

A cura della Soprintendenza archeologica, iniziarono gli scavi, che portarono al rinvenimento di un’area cultuale del II-I secolo A.C., composto da un tempio pagano italico con un muro di recinzione, insieme ad una gran quantità di reperti, tra cui l’ara del tempio e una testa di cavallo in argilla.

Diversamente dagli altri, questo tempio si trovava in pianura, costruito con precisione e regolarità, e doveva avere una certa importanza per gli abitanti del luogo e per i pastori di passaggio nel tratturo L’Aquila-Foggia.

Allineata al crinale del monte, doveva essere di introduzione a qualcos’altro sulla cima

San Vincenzo FerrerLa chiesa di S. Silvestro

Il monte, ai piedi del quale si trovava il tempio, in epoca cristiana, è stato intitolato a S. Silvestro, dato da non sottovalutarsi, in quanto S. Silvestro è il primo santo non martire venerato dalla Chiesa, vissuto al tempo di Costantino, l’imperatore della liberalizzazione del cristianesimo (313 D.C.).

Nella vita di S. Silvestro una leggenda narra che a Roma, al Colle Palatino, sotto i resti del tempio dedicato a Castore e Polluce, avesse la tana un drago crudelissimo, dall’alito pestilenziale. Un giorno papa Silvestro, preoccupato per questa calamità, che faceva strage di innocenti, decise di intervenire personalmente, recandosi presso la tana del mostro, armato del solo crocifisso.
Tenendo dinanzi la croce, il papa riuscì miracolosamente ad ammansire il drago: lo legò con un fragile filo tolto alla sua veste e lo portò a guinzaglio, come un docile cagnolino, dai suoi fedeli, che pensarono ad eliminarlo. Di fronte a tale prodigio i sacerdoti pagani si convertirono al cristianesimo, e il pontefice a ricordo dell’episodio fece costruire sul luogo la chiesa di Santa Maria Liberatrice.

E’ per questo che S. Silvestro viene raffigurato con ai piedi un drago, che rappresenta il paganesimo sconfitto dal cristianesimo.

E’ possibile allora che quando arrivò il cristianesimo in Val di Sangro, si sia pensato di dedicare il luogo dove era adorato Veiove, al culto cristiano di S. Silvestro. E come il Santo uccise a Roma il drago, convertendo i sacerdoti pagani, così il cristianesimo convertì a Cristo i pagani locali.

Un racconto vuole che lo stesso S. Silvestro abbia soggiornato sul monte, mentre era in viaggio dalla Calabria, ospite del monastero annesso alla chiesa. Il 22 giugno dell’anno 829, la chiesa di S. Silvestro, dipendenza del monastero di S. Stefano in Lucania (Tornareccio), venne donata all’abbazia di S. Maria di Farfa in Sabina.

Attorno ad essa sorse in epoca medioevale l’abitato di Castel S. Silvestro, titolare di un feudo, ceduto nel tempo a vari feudatari, tra cui, nel 1269, Sordello da Goito, citato da Dante nella Divina Commedia. Nel 1366, il territorio, chiamato anche “Piazzano”, essendo una grande pianura, venne acquistato dal Comune di Atessa.

San Vincenzo FerrerDa Monte S. Silvestro a Monte Marcone

Nel biennio 1788-90, Francescantonio Marcone, della piccola borghesia emergente ad Atessa a fine settecento, divenuto sindaco, si impossessò del territorio di S. Silvestro, che da allora prese il nome di Monte Marcone. Egli fece abbattere la vecchia chiesa sulla cima del Monte, per ricostruirla, nel 1789, alle sue pendici, adiacente la propria abitazione. In essa trasferì il quadro del Santo venerato nella vecchia chiesa, dove S. Silvestro era raffigurato con un drago. Esso è andato perduto, ma, fortunatamente, esiste un fax simile nell’attuale chiesa di S. Vincenzo, fatto realizzare nel 1950 da Vincenzo Menna fu Nicola, in base ai ricordi del nonno, che frequentava la chiesa dei Marcone.

La nuova chiesa e la sua elevazione a sede parrocchiale

L’inadeguatezza della chiesa a contenere la già numerosa popolazione e la necessità di liberarsi dalle interferenze dei Marcone, portarono la popolazione, guidata da un altro borghese atessano, Giustino Flocco, a richiedere a Ferdinando II, Re delle Due Sicilie, il permesso di costruire una nuova chiesa sul regio tratturo, che egli accordò nel luglio del 1847. Progettata dall’atessano Luigi Mascitelli, costruita con i fondi messi dal disposizione dal Comune di Atessa e con il concorso del popolo, che vi trasportò i sassi dal vicino torrente Appello, la nuova chiesa venne ultimata verso il 1860. Terza in ordine storico, la chiesa non porta più il titolo di S. Silvestro, in quanto il cuore della popolazione, già tempo prima, batteva per San Vincenzo Ferrer, patrono delle sorgenti d’acqua, invocato per la pioggia e contro le tempeste.
La chiesa fu elevata a sede parrocchiale dall’arcivescovo Nicola Monterisi nel 1928, ma il decreto divenne esecutivo durante il ministero del suo successore Giuseppe Venturi, il 30 settembre 1934, assegnandole le rendite ed i titoli della Parrocchia di S. Giusta in S. Domenico di Atessa.
La chiesa ha subito profondi restauri nel 1963, con il totale rifacimento del pavimento, dell’altare, del tetto e della volta, con la costruzione dell’oratorio parrocchiale. Nel 1981 è stata allungata, chiudendo gli archi del portico antistante; nel 1996 abbellita dalla grande scalinata esterna, con le statue di S. Silvestro e S. Leucio; nel 1997 completamente restaurata, per essere dedicata il 23 settembre 1998 da mons.
Edoardo Menichelli, arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto, presente la venerata statua della Madonna dei Miracoli del santuario-basilica di Casalbordino.
Il suo territorio parrocchiale abbraccia la quasi totalità della Zona Industriale Valdisangro (9000 posti di lavoro), zona “Valle” della città di Atessa, con circa 4000 abitanti.

DESCRIZIONE DELLA CHIESA

San Vincenzo Ferrer La facciata

La facciata è preceduta da un portico in mattoni, sormontata da una balaustra in pietra, costruita agli inizi del 1900. Gli archi sono stati chiusi nel 1981 per permettere l’ampliamento dell’edificio, recentemente ricoperti da pannelli in pietra scolpita, con immagini evangeliche e di santi. Nell’arco centrale, il portale d’ingresso, rivestito in pietra, con scene della vita di Gesù: annunciazione, nascita, ultima cena, morte e risurrezione. Nei due archi laterali, i quattro evangelisti. Sulla cornice del frontale la frase “AVE MATER POPULI SANGRINI”, riferita alla Madonna della Valle e alla chiesa stessa, madre del popolo sangrino. La facciata superiore della chiesa è incorniciata da due paraste, che sorreggono le statue degli arcangeli Michele (a destra), titolare dell’antica chiesa di Colle S. Angelo, ora scomparsa, e Gabriele (a sinistra). Al centro un rosone in pietra sormontato dall’orologio e dal campanile a vela.

Il campanile

Originariamente il campanile a vela era fatto a cappello di prete, ovvero a 3 pizzi, sui muri perimetrali laterali a destra della facciata, poi ricostruito al centro nel 1963 e portato a tre archi nel 1997. Sorregge quattro campane, dedicate a S. Nicola (la prima da sinistra, del 1851, acquistata nel 1901 dalla demolita chiesa nel centro storico), S. Vincenzo (al centro, del 1997), S. Silvestro (a destra, del 1997) ed una campanella sul retro del pilastro, del 1844, un tempo nel vecchio cimitero di Atessa.
L’interno L’interno è ad aula unica, priva di abside e cappelle laterali. I muri perimetrali della navata sono movimentati da cornici e paraste con capitelli ionici molto lavorati e rifiniture dorate, che sorreggono una trabeazione molto sporgente, che segue senza interruzione l’intero perimetro.

San Vincenzo Ferrer

Il battistero

L’atrio è stato adibito a battistero. Il fonte, all’ingresso della chiesa-edificio, ricorda che il battesimo inserisce il cristiano nella Chiesa-Comunità. Esso, con tutte le sculture in marmo e pietra interne ed esterne alla chiesa, è opera dello scultore locale Nicola Farina. Nella vasca è scolpita la colomba, simbolo dello Spirito Santo, a rappresentare, secondo le parole di Gesù a Nicodemo, che non si può entrare nel Regno di Dio se non si rinasce dall’acqua e dallo Spirito. Sul piedistallo, il Cristo Risorto, la vite e i tralci presentano il Battesimo come passaggio dalla morte del peccato alla vita dell’amore, per portare frutti di fede, speranza e carità.

L’altare e l’ambone

L’altare e l’ambone hanno in comune la nube, simbolo biblico della presenza dello Spirito Santo, e gli angeli, messaggeri di Dio. Nella liturgia eucaristica, infatti, lo Spirito rivela Gesù come Maestro nell’amore di Dio e del prossimo, indicato dalle tavole dei comandamenti poste tra gli angeli dell’ambone, che offre se stesso come Agnello nel sacrificio della croce, rinnovato sull’altare. Sotto di esso, l’Agnello è rappresentato sul libro a sette sigilli dell’Apocalisse, che da senso alla parola proclamata all’ambone.

San Vincenzo FerrerLa decorazione delle pareti

L’azzurro, i colori solari e l’oro usati per la decorazione, esprimono che nel luogo il Padre che è nei cieli rivela il Cristo come luce del mondo. Nelle pareti dell’aula ecclesiale, i dipinti illustrano scene evangeliche per invitare ad essere Vangelo vivente. Il ciclo pittorico inizia a sinistra di chi entra con il quadro dell’Annunciazione: Maria concepisce il Verbo per opera dello Spirito Santo, affidato alla custodia di Giuseppe, il cui sogno è raffigurato nel piccolo riquadro sottostante. Con la sua nascita, Gesù Cristo chiama tutti i popoli alla salvezza, rappresentato dall’adorazione dei magi, nell’arco sovrastante, opera della pittrice locale Eleonora Maiolo, con quello dell’arco prospiciente e della contro facciata. Proseguendo, accanto all’altare, ecco la tela del Battesimo del Giordano, dove Gesù, Agnello mansueto e obbediente, è il vero Pastore, raffigurato nel 1948 nell’arco sovrastante dal pittore Ennio Bravo di Atessa, autore anche del Pietro salvato dalle acque, dell’Ultima Cena e delle tele di S. Silvestro e S. Sebastiano. La sequela di Gesù si realizza vivendo il messaggio di conversione, predicato già da Giovanni Battista, raffigurato nell’atto di predicare nel piccolo riquadro sottostante la tela. Sull’altare, la Trasfigurazione, opera, con le restanti tele, del pittore teatino Costantino Di Renzo, e la grande Ultima Cena, esprimono come la partecipazione all’Eucaristia realizzi la nostra trasfigurazione a immagine di Gesù, il quale sul monte Tabor manifestò che solo partecipando alle sue sofferenze si può entrare nella sua gloria. Il ciclo pittorico continua sulla parete destra, dove la mancanza di fede di Pietro, salvato dalle acque, e il dialogo di Gesù con la samaritana presentano la lotta spirituale del cristiano contro dubbi, paure e incomprensioni. Essi possono essere superati mediante l’ascolto della parola di Cristo e il servizio dei fratelli, sull’esempio di Maria e Marta, raffigurati nel piccolo riquadro sottostante. Nella campata di fondo, la tela della pietà rimanda al sacrificio ultimo di Cristo, accettato nella preghiera nell’orto degli ulivi, nel piccolo riquadro sottostante, per ottenere l’effusione dello Spirito Santo su tutti i popoli, rappresentato nell’evento di Pentecoste nell’arco sovrastante. Sulla volta l’ascensione di Gesù al cielo, con i quattro evangelisti, richiamano il compimento della fede e della missione della Chiesa. Negli archi centrali delle pareti laterali, a destra, il trono con la statua lignea della Madonna della Valle, patrona dei lavoratori (2009); di fronte quella di S. Vincenzo Ferrer (1995), titolare della parrocchia, la cui testa, opera dello scultore atessano Gabriele Falcucci (XIX secolo), proviene della statua originaria a “Conocchia”.

Le feste

La comunità festeggia S. Vincenzo Ferrer, titolare della parrocchia, la prima domenica di giugno; la Madonna della Valle, patrona della zona industriale, il primo maggio e il 12 settembre; la Madonna Addolorata l’ultima domenica di settembre; S. Sebastiano, la terza di gennaio.

LA FESTA DI S. VINCENZO

L’origine e la data.

Non si hanno notizie documentate circa la sua origine. Di certo ebbe inizio dopo l’acquisto della statua e la sua collocazione nella nuova chiesa, dato che nella vecchia cappella, ai piedi del Monte, non esisteva nessuna statua. Per quanto riguarda la fiera, nel 1834, secondo la testimonianza dello storico atessano Tommaso Bartoletti, una dedicata a S. Vincenzo si teneva nel centro di Atessa, con quelle di S. Pasquale e di Maria S.S. delle Grazie, nei giorni 17, 18, 19 maggio, ed erano di istituzione Regia. La fiera di Montemarcone, istituita dal Comune di Atessa nel 1870, si tenne la prima volta nel 1871. La prima domenica di giugno, venne fissata probabilmente in base ai ritmi della vita agricola, in apertura dell’estate, prima dei grandi lavori estivi, come si può riscontrare nei paesi vicini. La festa durava due giorni e con S. Vincenzo si festeggiava anche S. Antonio di Padova.

La deputazione.

L’organizzazione della festa era affidata ad una deputazione, formata da 4 persone, rappresentanti le diverse zone del territorio, che provvedeva alla raccolta dei contributi. Erano scelti mediante estrazione a sorte: il nominativo sorteggiato dopo il biglietto “S. Vincenzo” si considerava eletto. Le famiglie contribuivano offrendo grano, che la deputazione raccoglieva passando di casa in casa con una giumenta. Venivano offerti anche altri beni in natura per l’asta, detta “arriffa”. Dai fondi raccolti la Deputazione si premurava di far avanzare qualcosa da versare nel fondo cassa della chiesa, per le sue necessità. A tal proposito, è da ricordare la festa del 1927, curata dalla deputazione composta da Nicola Iacobitti, Domenico Rucci, Sebastiano Tano e Domenico Cappellone che, grazie alla collaborazione delle ricche famiglie atessane di Luigi Rancitelli e Giuseppe Giannico, curarono la raccolta dei fondi anche nel paese e oltre il fiume. Un particolare contributo economico fu dato dalla famiglia di Ettore Marcone. La somma raccolta ammontò a diciannovemilalire, somma sbalorditiva a quel tempo, con la quale, oltre alla festa, che quell’anno risultò meravigliosa, furono realizzati la porta di accesso al terrazzo, la scala a chiocciola per la salita alla cantoria, i candelieri di ottone per gli altari e l’armadio per la sacrestia. Furono fatte scattare anche quattro foto, con copie per tutti i membri della Deputazione, di cui restano solo quella della fiera e della processione. Da ricordare anche la festa del 1934, fatta dai deputati Berardino Menna, Sebastiano Galante, Giustino Tano e Vincenzo Cinalli, che con la loro giumenta raggiunsero Castelfrentano, Colle Flocco e l’Osento, acquistando per la chiesa, con i fondi avanzati l’armonium per il canto.

Lo svolgimento della festa.

Negli otto giorni precedenti, ogni sera, si effettuavano alcuni spari pirotecnici, per annunciare l’imminente festa. I fuochi di apertura di sabato e domenica si tenevano sul piccolo rialto detto “colle dell’artificio”, situato dove ora è la pizzeria “Il Maggiolino”. Il sabato della festa, al mattino, c’erano le prime comunioni dei bambini, preparati dai maestri delle scuole: andavano tutti in processione verso la chiesa e lì, in ginocchio davanti all’inferriata di ghisa che faceva da balaustra, ricevevano la prima comunione. Per l’occasione, la strada che portava alla chiesa era addobbata con striscioni di stoffa e bandiere, una delle quali sul campanile. Anche l’interno della chiesa era parata a festa con drappi e striscioni, pendenti dalle colonne e dal soffitto, secondo l’uso napoletano. Grande il rifornimento di candele, necessarie per i sei grandi lampadari di ferro battuto dell’interno.

La fiera.

fiera

La festa era rinomata come fiera del bestiame, una delle principali, a cui accorrevano acquirenti anche fuori Abruzzo, in modo particolare dalle Marche. Dalla ripa dell’Appello al colle Giannico, era tutto un pullulare di animali domestici di ogni genere, specialmente bovini. Allestiti anche dei punti. di ristoro, le “Bettole”, coperti a modo di tenda da accampamento, dove era possibile consumare pasti caldi e vino. Attrazione dei bambini erano le giostre con i cavalli, le enormi tinozze di lupini e il gelato.

La processione.

Le statue

Momento culminante, la processione, accompagnata dalla banda, che usciva a mezzogiorno, nella quale si portavano tutte le statue della chiesa, per il cui trasporto si versava una determinata quota: gli uomini portavano le statue dei Santi, le donne quelle dell’Addolorata e di S. Anna. La processione era aperta dalla croce e dal una labaro; raggiungeva prima l’attuale Montevecchio, poi il Colle Giannico, sostando presso la casa della famiglia Giannico, dove si effettuava la benedizione delle campagne, con un reliquiario di legno, a forma di mano benedicente, chiamato “S. Mano”. La processione era conclusa dai fuochi pirotecnici, presso il pantano “di Cicco”. Caratteristico l’accompagnare i fuochi a suon di banda, alternando un pezzo musicale con lo scoppio di alcune bombe; alla sera vi era l’artificio, con l’incendio di fontane e cascate. Si racconta che l’anno che segnò la fine della guerra, si fecero fuochi pirotecnici quattro volte. Alla sera i devoti, si recavano in chiesa per l’ultimo saluto al Santo, illuminato da numerosi ceri votivi, il cui chiarore faceva splendere i coloriti delle sue guance, dando l’impressione, per molti la certezza, che sudassero.